21 aprile 2010

The Decline

Raga il viaggio quieto è finito per cui direi di chiudere qui l'esperienza blog.
L'idea è comunque quella di trarne una sorta di libro. Vi tengo aggiornati.

11 aprile 2010

Oba-chan

Ok, Giappone. In sintesi: un mese di vita chinato in avanti. Dovunque mi trovassi c'era il rischio di sbattere la testa. Un lampadario, una porta beffarda, c'era sempre qualcosa che cercava di colpirmi senza pietà. E spesso ci riuscivano, maledetti oggetti inanimati col vizio di mirare agli umani più alti di 1.80. Che poi mi chiedo: Sendoh come faceva a muoversi con quella classe pur essendo più o meno della mia altezza? Non c'era mai nulla nella sua traiettoria. Giusto un paio di avversari da infinocchiare prima di pigiarla in testa al Maki della situazione. Ma giusto loro.

Ok, Giappone. La prima parte era per specialisti. Agli altri cercherò di badare ora.
Viste in fila Hiroshima, Nagasaki. Son passati sessantacinque anni da quando han deciso di rimuoverle dalle carte geografiche. Il Giappone si stava per arrendere, lo sapevano tutti, pure giù a Washington. Han deciso comunque di rimuoverle. E adesso giri l'angolo del Parco della Memoria e ci trovi KFC: strano modo di far la pace.

A Yame (isola di Kyushu) sono uscito dalla stazione e c'erano un signore e una signora che mi guardavano inebetiti. Li conoscevo? Manco per idea, ma qualcuno dall'Italia aveva detto loro di venire a prendermi, portarmi a casa e trattarmi come un figlio. Adesso li chiamo oto-san e oka-san (papà e mamma) e loro ne sembrano contenti. Comunque il giorno che sono arrivato puzzavo come una capra e non avevo vestiti puliti da mettermi. Era tempo di fare un ciclo di lavatrice. Ho guardato nelle tasche dei jeans e non ci ho trovato niente. Io guardo sempre nelle tasche dei jeans prima di metterli a lavare, me l'ha insegnato mia nonna. Poi quando la lavatrice ha finito, ho tirato fuori i vestiti e c'erano centinaia di piccoli pezzi di carta sparsi sulle felpe e sulle magliette. Oto-san li guardava divertito. Kami, kami. Un sacco di carta. Ridevo anche io, chissà quale inutile bigliettino sarà rimasto dentro.
Tre giorni dopo alla stazione ho cercato il mio Rail Pass nello zaino e ci ho trovato dieci centimetri cubi di nulla. Spero che mia nonna non venga a saperlo.

I giardini di Okayama non ve li racconto nemmeno perché usare la mia volgare prosa per farlo sarebbe diffamatorio.
Il castello di Himeji invece non si offende. Va bene, ho sbagliato io ad andarci di domenica ma un'ora per prendere il biglietto e tre abbondanti per girare attorno al castello paiono esagerate anche a un tipo paziente come me. Segnalo comunque che i giapponesi si profondevano in cori di stupore ogni volta che la fila concedeva loro di avanzare un metro. Al terzo piano della torre principale ho detto basta. Continuate a stupirvi fino al quinto, ciao.

Che altro c'è. Kyoto, certo. Potrebbe tranquillamente essere la città più bella del mondo, però un giorno nevicava , un giorno diluviava e il giorno in mezzo ero depresso. Alla fine è solo la città più bella che ho visto negli ultimi quattro anni. Vancouver sei ancora mon amour.

E a chiudere Tokyo. Ci sono arrivato scarico e non è esattamente il posto ideale per farsi cogliere passivo dalla folla impazzita di Shibuya. Gente, gente, gente. Ce n'è talmente tanta che fai fatica a scorgere i grattacieli dietro i quintali di trucco delle ragazzine.
Tra le poche cose capitatemi in questo oceano di passività: l'hanami alla base americana. Hanami designa il picnic nipponico primaverile che si consuma tradizionalmente sotto i ciliegi in fiore. Base americana designa una base americana. Oltre ai soldati dentro ci sono le famiglie ciccione dei soldati, campi da golf, il venditore di hot dog e Subway. Torniamo ai ciliegi. Direte, maraviglia delle maraviglie. Va bene, piacciono anche a me, ma diamine quando ne vedi diecimila nell'arco di una settimana sembrano un po' meno speciali. Io preferisco i fiori del prugno.
Mia nonna mi dava sempre del Bastian contrario quand'ero bambino. Mi piace pensare che mi stesse facendo un complimento, e che lo sapesse.