25 dicembre 2009

Woland

E' bastato un solo giorno per cambiare la mia prospettiva.
Ieri mi sono alzato dal letto e avevo davanti 14 ore da riempire in qualche modo. Oggi non sono nemmeno sicuro di avere il tempo per buttare giù due righe sul mio blog.
Che è successo? Semplicemente ieri ero un disoccupato, oggi ho una specie di lavoro part-time, anzi due. La ragazza che puliva la cucina qui all'ostello se n'è andata prima del tempo ed io ero il primo della lista tra i backpackers che hanno voglia di risparmiare qualche soldo lavorando nell'ostello.
Job's mine, un'oretta e mezza di pulizie generali quando tutti han finito di mangiare e vanno a divertirsi. Io non ho bisogno di divertirmi. Mi basta avere un letto gratis, qualcosa da mangiare e gente con cui chiacchierare quando non sto surfando o non c'è Dexter a tenermi compagnia.

Passa tutto comunque in secondo piano a fronte dell'altro lavoro che mi hanno affibbiato, e cioè fare l'autista del pulmino che va da qui alla stazione dove partono gli autobus per Sydney e Brisbane. Carica altisonante. Il vecchio autista è malato e hanno bisogno di un sostituto fino alla prima settimana di gennaio. A quanto pare sono l'unico con una patente valida qua dentro, quindi non c'era molta scelta. Faccio avanti e indietro tre volte al giorno, un'oretta e mezza in tutto, e becco venti dollari. Niente di cui lamentarsi, anche perché è molto più di quello che spendo quotidianamente per mangiare.
Faccio l'autista. E' l'ultimo lavoro che avrei pensato di poter fare nella mia vita. Io che sulle strade ho l'autorità di un pesce d'aprile, che ho un collasso nervoso se sono costretto ad avventurarmi nei vicoli di Milano dopo il vespro. Io che non ho nemmeno più un auto, visto che la mia storica Clio è stata rottamata non più tardi di due settimane fa.
Antologico il momento in cui arriviamo vicino all'ostello e cerco di scimmiottare la voce del vecchio che guidava il pulmino prima di me. And here we are in our neighborhood. On your right you can see a pub, a few shops and a selection of restaurants. You might wanna check them out (strizzata d'occhio). The beach is 150mt straight beyond the roundabout. Some more shops coming now... Impostato, quasi caricaturale, rischio di scoppiare a ridere durante ogni singolo viaggio.

Mettere in scena uno spettacolo, raccontare una storia che è mia solo in parte: l'unico modo che conosco per stare al mondo. Non è poi così male.

16 dicembre 2009

Paddy Cole

Coffs Harbour, oceano.


Ebbene oggi mi hanno spostato in quella che sarà la mia camera per le prossime 3 o 4 settimane, diciamo casa mia. Un ostello YHA funzionale, un po' anonimo forse, ma con personale oltremodo disponbile. In questa mia nuova camera risiedono molti tra coloro che lavorano per l'ostello. Al momento gli inquilini sono i seguenti:

- Anthony: panzone di Bristol City (vi ricordo sempre che in slang britannico bristols significa tette, perché pare le locali siano ampie in décolleté), rossiccio di capelli, parlantina vivace. Epitome del bonaccione, si mangia più parole che panini (e ho reso l'idea) rendendomi la comprensione della sua loquela impraticabile. Dalla stazza e dai primi pisoli pomeridiani lo temo russatore d'eccezione.

- Paddy Cole: nome che assomiglia a un supermercato, viso levigato dall'esperienza, questo nonno di 77 (settantasette) anni ha bisticciato con la figlia che abita a Brisbane e si è messo in viaggio verso Melbourne, dormendo negli ostelli. Ah, lui era venuto qua dall'Irlanda per farle visita. Scuola d'inglese barocco, sarà la mia famiglia a natale.

- Innominato numero 1: emo kid canadese (dell'Ontario) sui 20 anni, è qui da qualche settimana per risparmiare grana. Molto affabile, molto comprensibile, fatico solo a comprendere che cosa faccia qui oltre che pulire le stanze (visto che non surfa). Comunque un'ottima compagnia per i pomeriggi di bonaccia.

- Innominato numero 2: kiwi, approssimativamente la mia età, ha surfato anche in acque semi-antartiche. Uno di quei tipi che sembra sempre nel posto giusto al momento giusto. Arrivato qui per starci il tempo di un tube, ha trovato casualmente due lavori in mezza giornata. Easy, sgamato, presumo bevitore difficilmente contrastabile.


Dopo natale prenderò il posto di Anthony come impiegato all'ostello. Se non ho capito male, pulisce i cessi. Poteva andarmi meglio (camere) o peggio (cucina). Da quanto mi hanno detto in un'ora e mezza il lavoro quotidiano è fatto, quindi davvero no worries.

Altro da dire non credo ce ne sia. Un mesetto di cazzeggio, surf e chiacchiere con gente che se ne andrà due giorni dopo.

14 dicembre 2009

Dove ho lasciato pupazzi di neve?

Scrivevo qualche giorno fa:


Nient'altro che prati. Prati e boschi a perdita d'occhio.
Fa un freddo europeo in questo treno, si sente quasi odore di dicembre. Ho addosso felpa e windjacket, le cuffie in testa anche quando non ascolto musica, 19 dollari e 95 centesimi di scarpe nuove ai piedi. Perlomeno hanno ancora la suola e non passano spifferi da sotto. L'aria condizionata potrebbe essere il mio peggior nemico in assoluto e qua intorno sembra che parecchia gente condivida la perplessità per questo clima artificiale. Vedo maglioni, coperte di lana, soprabiti. Fuori ci sono 25 gradi almeno.

Cinque ore di treno e ne mancano altre tre per arrivare a destinazione, Eungai Creek. M'immagino un ruscello e qualche casa messa lì intorno, pecore, colline, profumo di foglie al suolo. E un'anestesia sonora da cui ci si risveglia quando si cominciano a riconoscere le voci dei singoli animali.
Ad ogni modo, il piano è quello di stare in giro un mesetto e mezzo, risalendo la costa fino a Brisbane e lavorando in qualche fattoria per risparmiare qualche soldo in vista dei viaggi futuri. Se poi ci scappa qualche giornata di surf in mezzo tutto di guadagnato. Basterebbe anche poter nuotare nell'oceano un paio di giorni la settimana.

Ho lasciato Sydney come si lasciano le vacanze estive da bambini. E' un posto che quasi chiamavo casa. Avevo qualche amico e un paio di posti tutti miei in cui andare quando volevo il silenzio come unico compagno di viaggio. Avevo dei rituali, come la partita NBA appena sveglio o la sosta in palestra prima di cena. Quei rituali freschi che non sanno ancora di routine ma che danno un ordine alle nostre vite. Le semplificano, forse le rendono anche prevedibili. Possibile che me ne vada anche per questo. Ma so che ci tornerò, che rivedrò quelle facce che mi hanno reso felice per qualche istante, dopo averne scoperte altre in questo mese e mezzo di viaggi in treno e terra tra le mani.

Prati e boschi. E il mio dicembre che ci corre in mezzo.



Tutto molto poetico. MA.
Ora è tutto svanito. Sono stato letteralmente cacciato dalla fattoria in cui avrei dovuto soggiornare per almeno un paio di settimane. La ragione è che la padrona di casa si sentiva svuotata di energie quando mi trovavo accanto a lei, ero fonte di problemi e preoccupazioni. Mi ha portato all'ostello più vicino augurandomi buona fortuna. Fortuna? Avevo bisogno di altro in questo momento: un po' di comprensione, qualche pasto frugale, una famiglia per Natale.
Non sono particolarmente scosso dal dover riprogrammare la mia strada da qui a fine gennaio, quanto dal motivo per cui sono stato mandato via. Non mi reputo perfetto, ma credo di essere una delle persone che causano meno problemi tra tutte quelle che conosco. Mi adatto praticamente a qualsiasi situazione, tengo le mie cose e i miei pensieri per me, raramente chiedo l'aiuto degli altri. Dove ho sbagliato? Se c'è una cosa con cui non riesco a convivere è il fallimento, la certezza di aver deluso chi mi stava vicino. E qui non c'è altro modo di vederla, nessuna scorciatoia: ho fallito.

Qualche scarafaggio si balocca con i lacci del mio zaino. Dopo aver visto un'orda di mosche grosse come calabroni coprirmi le braccia mentre lavoravo nella foresta, e canguri bere in una pozza a dieci metri da dove dormivo, e mini-draghi di Komodo scorrazzare per l'ostello qui a Bellingen, uno scarafaggio sembra quasi una presenza rassicurante. Mi ricorda casa.

23 novembre 2009

Wallabies

Cos'è successo in queste ultime due settimane?

Bronte Boys. Sono tornato a Bronte, che rimane la mia spiaggia preferita qui a Sydney. E' più intima delle altre e quel prato enorme alle sue spalle vale un cazzeggio, un barbecue o una partita a pallone. Poi ci sono loro, i Bronte Boys, un gruppo di surfisti piuttosto giovani che sfoggiano enormi tatuaggi (tra cui uno in particolare con scritto Bronte Boys) e che vorrebbero emulare i Bra Boys, storico e temutissimo gruppo di srufisti di stanza (o d'istanza? mai capito) a Maroubra.
Mi hanno raccontato che questi Bra Boys sarebbero celebri perché, surfando, si profondono spesso in manovre incuranti e fuori dall'etichetta di questo sport, oltre a cercare intenzionalmente un pretesto per baruffare con altri surfisti, spesso meno esperti. Anni fa la tensione tra questi Bra Boys e un gruppo di surfisti libanesi particolarmente fumantini sfociò in un vera guerra armata, che fece addirittura delle vittime.

Rodmanalbe82 goes 27. Doppio party per festeggiare il compleanno di Albe. Prima una festa a sorpresa che lui aveva intuito giorni prima.
Il meglio della serata: le birre offerte da Albe, il sito di Domino's pizza (che ti consente di scegliere ben cinque modalità di cottura della pasta, oltre a darti la possibilità di crearti la tua pizza in pochi istanti), la bombetta inarrivabile che Albe aveva in testa, il pallone da basket che gli abbiamo regalato, gli instant noodles che mi sono comprato alle 2 tornando a casa e che ho cucinato appena arrivato.
Il peggio della serata: la pizza di Domino's pizza, i miei baffi comparati a quelli di chiunque altro partecipi a Movember.
Poi uno strepitoso barbecue a Bronte, che però preferisco lasciare all'immaginario collettivo.

Nelson Bay. Gita scolastica per il corso d'inglese che il mio coinqulino Csaba ha frequentato qui a Sydney. Vengo invitato per far numero. Il maestro, tale Patrick, decide di noleggiare un mini-bus da 25 posti, riunire la truppa alle 6.30 del mattino (sveglia un'ora prima) e guidarlo per due ore e mezza verso nord, sopra Newcastle, in questa baia stupenda e semi-deserta. Barbecue, camminata sugli scogli, pisciata nella boscaglia incurante del pericolo serpi, conversazioni improbabili con Akos, l'altro mio coinquilino ungherese che celebra il dono della parola solamente alla terza birra ingollata, e infine un bagno nell'oceano con l'acqua a 18 gradi. La meglio giornata australiana.

Surfing at Manly. Già, ho surfato. Non bene, ma ho surfato.
Giornata passata a manly beach, spiaggia a nord di sydney, rinomata per avere onde facili ed essere quindi adatta ai principianti. Io e una delle nuove coinquiline inglese, tale Jen, abbiamo noleggiato una long board (tavola lunga e larga, un po' vecchio stile, ma stabile e quindi più facile per chi comincia) e ci siamo messi in acqua, a turno.
C'ho messo mezzora per capire come non ribaltarmi mentre uscivo al largo (va beh, venti metri da riva), perché la tavola è molto sensibile e le onde tendono a sollevarla. Considerate che già nuotarci sopra non è elementare, serve un discreto equilibrio.
Poi ho provato a prendere un'onda di media entità e stavo per mettermi in piedi. Mi son detto: sono un predestinato, alla prossima vado nel tube.
Ovviamente poi un'intera sessione di mezzora senza riuscire a prendere un'onda (problemi di equilibrio, stanchezza, difficoltà nel capire quando prendere le onde).
Ho continuato a provare, guardando i ragazzi della scuola surf di fianco a me per capirci di più. Ho smesso di nuotare per uscire perché si disperdono troppe energie. E' meglio camminare e aspettare l'onda in arrivo, e prendere solo quelle adatte ai propri mezzi, che per un principiante corrispondono alla schiuma delle onde grosse. Con un po' di spinta delle braccia anche la schiuma (se le onde sono grosse abbastanza) ti porta fino a riva. Alla fine riuscivo quasi sempre a mettermi in piedi, anche se dopo un secondo in ginocchio.
Conclusioni: sport estremamente faticoso, in cui si migliora con estenuante pratica e in cui si prendono un sacco di botte (la tavola che ti sbatte addosso quando l'onda ti ribalta, i colpi alle ginocchia, lo sfregamento della pelle sulla tavola), ma obiettivamente una bomba.

Ulladulla & Jervis. Questo weekend abbiamo noleggiato un paio di macchine e siamo andati a Sud, in un posto dal nome pittoresco come Ulladulla. Ci siamo accampati in un bosco, c'era già un fuoco acceso e tante birre aperte per festeggiare il compleanno di Rafa, un ragazzo spagnolo con dei baffi brutali.
Natura selvaggia, tanti bagni nell'oceano, qualche sandwich vegan, frisbee sulla spiaggia, una notte in auto anche se avevamo montato la tenda, la soddisfazione senza prezzo di una cagata in mezzo alla foresta, camminare nella natura senza lenti per stimolare gli altri sensi, distruggere una ciabatta perché non si vede dove si cammina, tornare in spiaggia all'alba e fare bodysurfing.
E poi ieri via verso Jervis Bay, un parco naturale di stordente bellezza con tantissime spiagge incontaminate. Non bastasse questo un wallaby (simil canguro di piccole dimensioni) è venuto a farci compagnia mentre stavamo a Murray's Beach, e un branco di delfini nuotava vicino agli scoglia di Green Patch mentre io li contemplavo stupefatto, e altri ci nuotavano insieme.


Le due settimane migliori di Sydney sono finite. Tra venti giorni comincio a risalire la costa.

8 novembre 2009

San Siro, Olimpico, delle Alpi

La prima settimana novembrina qui a Sydney mi pare un ottimo spunto per segnalare alcune differenze tra Australia e Italia.

Partiamo dalle cose semplici. Qui è primavera inoltrata, tra poco arriva l'estate. Sembrano saperlo tutti tranne il cielo, che continua a proporci intere giornate di dense nuvole. Non si prende nemmeno la soddisfazione di smentire i meteorologi una volta ogni tanto. Frattanto abbondano i lazzi sulla prospettiva di un Natale in costume da bagno. Le risate comunque le posticipo a quando vedrò pioggia cadere sui miei regali in spiaggia.
Differenza con l'Italia: malgrado le nuvole, qui mi permetto il lusso di girellare per la città in bermuda. Se a novembre salissi su un autobus di Milano coi pantaloni corti la gente mi guarderebbe come fossi un matto. Poi probabilmente mi guarderebbe crollare al suolo assiderato.

Rimaniamo nel campo delle differenze note. In Australia si guida sul lato sinistro della strada. E' però comune all'Italia l'astio che il guidatore medio nutre nei confronti del pedone medio. Dall'insulto in giù è tutto considerato nobile. Trendissimo a quanto pare tirare giù il finestrino e urlare con piglio severo: watch your way, mate (già occorsomi tre volte). Risposta che non riesco mai a dare: io la guarderei anche, ma ci sei già sopra.

Tra le altre differenze segnalerei:
a) qui non si trova un'anguria con i semi. Mi mancano, anche se è da una vita che dico a tutti che non mangio l'anguria perché detesto i semi;
b) la domenica prima di cena va in onda Australian Idol, una sorta di x-factor in cui non c'è nemmeno il gusto di ascoltare le boiate della Ventura. E improvvisamente mi son ritornati in mente i gol in tele dopo il campionato. Non li guardo da dieci anni forse, ma ricordo nitidamente l'attesa impaziente prima di 90esimo minuto. Chissà se c'è qualcuno là fuori che attende con la stessa impazienza l'inizio di Australian Idol.

Ma soprattutto: ragazze e cavalli.
Martedì, giornata torrida, decido sagacemente di uscire verso l'una. Girellando per Darling Harbour, la baia sotto casa mia, mi accorgo di come le strade paiano inspiegabilmente vuote. A quell'ora è prassi essere in pausa pranzo, e di norma i giovani yuppies in giacca e cravatta si riversano in strada per procacciarsi sandwich di incerta commestibilità e canguri al dente.
Niente, strade vuote, ma noto come nei ristoranti ci sono sterminate folle di australiani vocianti. Nemmeno un tavolo libero. Più di ogni altra cosa è basente l'abbigliamento delle tipe: hanno tutte vestiti pomposi, della medesima foggia. Varia solo il colore, talune si accontentano di un mogano o di uno spento blu vellutato, altre azzardano perfino sfumature dorate o argentee. Parevano medaglie deambulanti. Immancabile comunque il polpaccio suino sempre ben in vista.
Ragione di tutta sta folla? La Melbourne Cup, the race that stops a nation. Praticamente una gara di cavalli che autorizza la gente a smettere di lavorare prima di pranzo e ad accapigliarsi nei ristoranti davanti alla gara in tv. Doverosa la scommessina (ina per modo di dire) preventiva.
Differenza con l'Italia: beh noi abbiamo il palio di Siena. Però quello ferma una sola città. Gli altri la guardano in televisione se gli capita, e se riescono a resistere ai quarti d'ora persi per mettere in riga tutti i cavalli. Io personalmente non so manco quando si tiene.


Anyway, capolinea. Sicuramente ci sarebbe altro da dire, ma in un paese in cui non ci si può nemmeno lamentare per i semi dell'anguria talvolta ti mancano le parole giuste per concludere degnamente un post.

30 ottobre 2009

I'm not so fucking special, actually.

Vi ricordate i bigliettini delle medie?
Io credo che poche cose della mia infanzia rimarranno alla mia memoria nitide quanto la struttura di un bigliettino delle medie. Tutti quei convenevoli, quegli aggettivi dolciastri. Poi l'anacoluto, quasi doveroso per chi scriveva, letto con moderato compiacimento dal destinatario. Abbiamo un codice, pensavo ogni volta. Un codice abominevole, me è pur sempre qualcosa che condividiamo.

Ieri mi sono alzato e il padre di Hikari era morto. Lei doveva partire per Alice Springs proprio ieri, e là incontrare i suoi genitori ma suo padre è morto prima di poterla rivedere. E io non avevo un codice per dirle che mi dispiaceva. Non avevo un codice per dirle alcunché, in realtà. Avrei voluto abbracciarla ma mi sembrava d'invadere il suo dolore privato.
Perdere un genitore è qualcosa di cui non so nulla e quando non so nulla mi viene spontaneo stare in silenzio. Ci siamo guardati per qualche istante, afoni dei nostri pensieri.
E' partita ieri e la sua schiena mentre saliva sull'autobus che l'avrebbe portata all'aeroporto profumava d'addio come poche altre cose al mondo.

Ultimamente mi capita di leggere parecchio. Soprattutto e-mail da gente che non conosco: I regret to advise that on this occasion we will not be progressing with your application. Sei bravo, hai buone esperienze, il tuo inglese sembra devastante ma per stavolta prendiamo un altro. Non c'è molto da fare, se non continuare a provare.

Leggo anche molte e-mail di persone che conosco da tempo. E' sorprendente accorgersi che a ventimila chilometri da casa puoi ancora scoprire qualcosa di coloro a cui vuoi bene. Forse svelare se stessi è più facile quando non sei costretto a incrociare lo sguardo di chi ti ascolta non appena hai smesso di parlare.

22 ottobre 2009

一期一会

I giorni cominciano a passare in fretta. Tra un po' dovrò contare le settimane di permanenza in Australia, forse i mesi. E' un'abitudine che avevo anche da bambino, in occasione delle vacanze più durature, e confesso che mi ha sempre messo addosso una malinconia notevole.

All'inizio ogni giorno ha un suo colore, arrivi a sera e ti viene da fare l'elenco delle facce strane che hai visto, delle gocce di pioggia che ti sono cadute in testa. Poi le facce cominciano a sembrare un po' più ordinarie, le gocce di pioggia sempre meno frequenti. C'è una patina di anonimato sui giorni appena conclusi quando fissi il calendario. E ti sorprendi sempre meno di ciò che ti sta intorno, anche se qui è quasi impossibile trovare un anguria con i semi e c'è gente che fa bodysurfing lanciandosi dagli scoglia con onde di due metri.
Capisci che questa è un po' casa tua quando ti sporgi dal marciapiede e guardi prima a destra per essere sicuro che non arrivino macchine.

Mi hanno detto che questo blog ha il sapore agrodolce della nostalgia. Non c'è niente di più vero, e non ho mai fatto niente per nasconderlo. Ma ci sono un sacco di momenti lieti nelle mie giornate.
Il caso ha voluto che capitassi in casa con ragazzi che hanno un assoluto bisogno di compagnia e non sarò certo io a negar loro qualche brano del mio inglese finto disinvolto. Ognuno ha il suo modo di chiedere attenzione: i silenzi intensi dei due ungheresi, la smodata vitalità di Saman, gli scherzetti quasi puerili di Hikari. E tutti sembrano dirti: ok, siamo a migliaia di chilometri da dove siamo cresciuti, ma scommetto che una serata insieme può strappare un sorriso a qualunque latitudine.

Lo so, alla fine non racconto mai nulla di quello che mi succede. Spero che lo si legga tra le righe.
Non c'è niente di anonimo se si ascoltano le parole di chi ci sta intorno.


Ichi-go ichi-e. Un momento, un incontro.

16 ottobre 2009

Saman

Ho un bug di sistema. Non riesco a descrivere le persone che incontro con la cura che meriterebbero. E' sempre stato così. Detesto descrivere almeno quanto detesto leggere descrizioni, tanto che sovente mi capita di saltare intere pagine di libri, arrivare alla fine della storia e rendermi conto che non ci ho capito un cazzo. Di norma biasimo l'autore in questi casi.
Anyway, credo sia auspicabile imporsi, più che concedersi, delle eccezioni nella propria vita. E il ragazzo iraniano con cui condividerò la stanza per qualche tempo fa decisamente al caso mio in questo momento.

In parentesi: sì, ho una casa mia. No, non ho una stanza (tutta) mia. No, non ho controllato da che parte gira l'acqua del cesso: sono sempre troppo impegnato a farmi i complimenti per ciò che ho appena fatto.

Saman mi ha accolto nel suo mondo offrendomi un bicchiere di vino. Chi ti offre un bicchiere di vino prima di conoscere il tuo nome è quasi sempre una persona estremamente gentile, o una persona estremamente depressa. Talvolta capita che sia entrambe le cose.
In un paio d'ore di conversazione ha:
- liquidato Ahmadinejad chiarendo che durante i pasti non riesce a parlarne;
- presentato un doveroso elenco di parolacce italiane che gli sono state insegnate;
- esclamato Oh my God almeno un centinaio di volte;
- istituito l'asse Iran-Italia per una futura missione cucina pulita in cui si cercherà di porre rimedio al lordume prodotto dalle ragazze asiatiche nostre coinquiline;
- notificato che dell'Islam non gli frega nulla, e contestualmente rabboccato il suo calice di vino;
Non posso dire di conoscerlo. Ho solo la sensazione che vivremo bene assieme. Parla un sacco, ed è piuttosto esuberante, anche teatrale nel suo porsi con gli altri. Io di mio sarei riservato e un po' lunatico, ma ho un bisogno disperato di qualcuno che sappia tirarmi su il morale anche con pochi gesti quando mi arriva una botta di nostalgia straight from pianura padana.
Di solito arrivano all'ora di pranzo. Non ho molto da fare e mi connetto. E contemplo un paio d'ore di stasi forumistiche, di finestre MSN senza contatti attivi e di illusorie newsletter che mi fanno sperare di essere nei pensieri notturni di qualcuno, a ventimila chilometri da qui.


Mi piace camminare per Sydney e scoprire sempre qualcosa di nuovo in strade che ho percorso già decine di volte. Mi piace sporgermi dal Pyrmont Bridge e guardare la baia, e vedere che ogni tanto si spegne la luce di un ufficio in un grattacielo. Mi piace mettermi le cuffie e pensare che la gente intorno a me si muova al ritmo che sento io.

12 ottobre 2009

Dove ho lasciato spensieratezza?

Per la prima volta ho guardato il cielo di Sydney e ho dovuto chiudere gli occhi. Sull'asfalto squarci di luce definivano i contorni dei grattacieli. Ed io ci camminavo sopra con le mie scarpe bucate, che ancora profumano della pioggia dei giorni passati. Quasi a dire: è un pezzo che t'inseguo, adesso che ho i piedi al caldo ti prego non te ne andare. Ed evitavo le ombre lunghe di modo da non dover rimettere le mani in tasca per il freddo.

Avevo una casa sabato, poi è scomparsa nel nulla, e oggi ne ho una nuova. Ci entro giovedì.
Dentro c'è praticamente il mondo e l'idea è quello di conquistarlo tutto, come quando ti capita la missione più difficile a Risiko. A dir la verità non ho mai avuto troppa fortuna con i dadi.

Ho visto alcuni tra gli squarci più affascinanti di questa città nel weekend appena trascorso: Opera House, Harbour Bridge e soprattutto i giardini botanici. Please walk on the grass, c'è scritto all'ingresso. Appena arriva un po' di caldo ci torno di corsa e mi tolgo le scarpe. E' tanto che non sento un po' d'erba sotto i piedi.
Tutto questo in compagnia di un amico. Già, ho un amico a Sydney. Sappiamo entrambi quanto coraggio ci vuole a mettere la propria vita in una valigia, quanto sia difficile alzare la testa per guardare negli occhi la propria mamma quando la si saluta all'aeroporto.
A ventimila chilometri da casa un amico sembra ancora più prezioso, specie se non si pensava di averne.

Il grigio è tornato da poco. Non si tiene al guinzaglio un raggio di sole. Ed è solo quando torna il grigio che cominci a rimpiangere l'ombra. Perché l'ombra ti ricorda la spensieratezza di poter camminare con le scarpe asciutte, saltando da un marciapiede all'altro, incurante dei minuti che passano.

10 ottobre 2009

Bagels for breakfast

Va bene, va bene. Devo essere tollerante. Non tutti hanno il senso del pudore e del rispetto che ho io, siamo d'accordo, però stanotte mi pare si sia proprio superata la linea che separa ciò che è decoroso da ciò che non può esserlo ad alcuna latitudine.

Premessa: due giorni fa arriva in stanza questo gruppetto di tedeschi (tre ragazze ed un ragazzo) nel primo pomeriggio. Straight from Europe. Io li avviso: se andate a letto ora poi fate la notte in bianco. Risposta: yes, we know it, only little nap. Ok, parlano un inglese imbarazzante per essere teutonici, ma concediamo loro un pisolino.
Dormono l'intero pomeriggio, stanza nell'oscurità più totale. Io, tornato da un giro per vedere stanze verso le 7 di sera, mi azzardo ad accendere la luce della camera, ma una del gruppo, che sta trafficando con gli zaini, mi mette in mano la sua torcia e mi dice di usare quella because everybody sleeping (con questa espressione: XD). Vi dico solo che al confronto di questa torcia, le lucciole emttono bagliori accecanti. Anyway, va bene così. Tolleranza. La stanza è un delirio. Zaini, cartacce, bottiglie vuote dappertutto. C'è anche puzza di lievito. Ma va bene così. Tolleranza.

Finché non arriva ieri notte. Il gruppetto decide di far serata, visto che è l'ultima qui all'ostello. Invitati dalla crew dello Scary Canary, il locale di fianco all'ostello, prima sembrano titubanti, poi si buttano in quella che posso immaginare sia stata una serata di eccessi. Niente in contrario. Non fosse che alle 3 del mattino vengo svegliato da vociare molesto e illuminazione diffusa. Ipotizzo sia giorno, moderatamente soddisfatto per aver sconfitto il jet lag e aver ronfato per una notte intera senza interruzioni. Accendo il cellulare: 3.12 AM. Ok, sono tornati dalla sbronza, ora vanno a letto. Escono di nuovo. Mi riaddormento. Mezzora dopo ritornano, di nuovo accendono la luce della camera. Il tipo è in condizioni pietose e sbraita senza costrutto con tono gutturale. Lo convincono a mettersi a letto, sopra di me. Continuano le imprecazioni, quasi urla. C'è disperazione nel suo tono. E sdegno nelle mie palpebre socchiuse.

Vorrei sorvolare, ma ho davvero bisogno di dormire. Butto lì un: how about keeping your voice down mate? Detto con garbo, quasi servile.
Risposta: scheisse.
Necessaria un'interpretazione: merda io? Merda la situazione? O merda, sono talmente sbronzo che mi sono cagato nel letto?
Ritengo più probabile la seconda opzione. Getto uno sguardo supplichevole all'amica che dorme nel letto accanto al mio. Lei lo convince a far silenzio. Mi addormento di nuovo verso le 4 e mezza.


Al mattino nemmeno una parola di scuse. Sarò fatto strano io, ma mi sembrava doverosa. Faccio colazione con bagel tostato e una banana, e passa tutto in secondo piano.

8 ottobre 2009

Calligrafia di una nuvola

C'è un vento letale. Non vedo nemmeno le nuvole passare tanto vanno in fretta, e le mie mani tremano a tal punto per il freddo che fatico a rileggere il mio tratto.

Ho visto un po' di Sydney oggi. A pranzo con un amico italiano, Rod, che è qui dai sette mesi. Lavora dalle parti di Pyrmont, un colle che si affaccia sulla baia e l'Harbour Bridge. Sul versante opposto c'è downtown con i suoi grattacieli in vetro e mattoni, uno stralcio che mi ha ricordato Vancover per il contrasto quasi maniacale tra i doni della natura e i mostri, pur tremendamente fascinosi, creati dall'uomo.
Ho mangiato una pumpkin soup con pane tostato. La zuppa era meno cremosa di quanto sperassi, ma era da un po' che non mangiavo qualcosa di così lineare, semplice. Sì, ne avevo un disperato bisogno. E sì ho ancor più bisogno del mio amato riso. Ho voglia di cucinare tranquillamente per me stesso come sempre. Stay vegan.

Ora sono ad Hyde Park, che è una miniatura del suo cugino londinese. Sembra posto ideale per buttare giù due righe malinconiche e fermarsi a contemplare questa città che ho finora consapevolmente ignorato. E' il classico posto in cui devo tornare ogni tanto, da solo, con un quaderno nello zaino.

Le nuvole volano. Letteralmente.
E mi fa quasi paura guardarle perché mi ricordano il mio tratto incerto. Mi ricordano che forse avevo dimenticato come si scrive.

The Sun Chaser

Al solito, le prime ore in un posto mi fan venire voglia di tornare a casa. Lo so, è abbastanza prematura come presa di posizione, però un paio di cose ieri giravano davvero male. Alle 9 ero già all'ostello (X Base, quello con più hype di tutta Sydney, per intenderci), sventolante la mia prenotazione sotto il naso della tizia al front desk.
Fino alle 10 sicuramente il tuo letto non è libero. Ed è un miracolo se ti cambiano le lenzuola entro le 2.
Oh, di hype ne ha parecchio, con le porte a vetri, i backpackers dentro tutti col portatile sulle ginocchia e la minimal in sottofondo. Però ecco, io di solito dormo sui materassi, non sull'hype. Soprattutto se alle spalle ho 24 ore di transoceanica da mettere a tacere.

Vorrei scrivere un messaggio a tutti quelli che conosco e sentire le vibrazione delle loro risposte, ma il credito sta per terminare. Internet? Costa un dollaro ogni quarto d'ora di connessione wi-fi qui all'ostello. Pare vagamente eccessivo. Rileggo i vecchi sms che mi tengono compagnia.

Fa freddo: undici gradi. Raccontavo in giro che andavo in Australia anche per seguire il sole. Il cielo è limpido ma con una felpa e un maglione non credo di resistere più di due settimane. Il girasole che ho tatuato sul cuore mi duole parecchio. Un girasole non sa nemmeno da che parte girarsi se il suo sole sta a ventimila chilometri di distanza.


Ho voglia di tornare a casa, ma tanto non lo faccio. La mia vita oggi pesa 33 chili, bagaglio a mano incluso, e so che devo portarmela in giro ancora per qualche tempo. Poi esausta mi dirà che è arrivato il momento di tornare a casa. Non per sempre, non credo, ma almeno sarà di nuovo una vita rischiarata dal sole più abbacinante che un girasole abbia mai visto.

5 ottobre 2009

And now for something completely similar

Comincio un blog, come qualche anno fa. L'ocasione? Un viaggio a qualche migliaio di chilometri da qui.
Scrvierò le solite quattro boiate, qualche storiella curiosa, stralci di Australia o degli altri posti in cui capiterò più o meno volontariamente.

Non è un addio.