28 febbraio 2010

Ray Lew

Arrivi a Bali e non capisci cos'e'. Non e' Indonesia: troppo colorata la frutta, troppo bianca la pelle della gente. Non e' il villaggio turistico che cerca di essere. E basta mettere il naso fuori dalle quattro strade centrali per rendersene conto. Il puzzo di fogna e spazzatura arriva presto e non c'e' spezia che lo possa coprire. D'altronde se hai i consumi di un paese occidentale e un sistema di smaltimento rifiuti basato su vanghe e ceste di vimini il conto prima o poi lo devi pagare. E quasi sempre lo paghi nelle zone periferiche, dove gia' non e' che ti avessero servito un menu d'eccezione.

Eppure basta uscire un secondo dal circuito turistico e perdersi col motorino nella campagna a ovest dell'isola che i bambini ancora si stupiscono dei tuoi occhi azzurri e le ragazzine scappano imbarazzate e ghignanti appena dopo aver trovato il coraggio di salutarti.
Hello, hello, che candore, che armonia. Ora pero' magari ditemi come si esce da sto ammasso di sentieri, devo andare a Sanur. Sempre dritto. Due minuti e sono di nuovo fermo a chiedere indicazioni. Sanur? Sempre dritto, nell'altro senso. Tempo di fermarsi in un warung e ricaricare le pile. Forse li' sanno qualcosa di piu' su questa fantomatica Sanur. Chiedo. Conciliabolo tra cuochi, camerieri, buontemponi che passano li' le giornate e astanti dell'ultima ora. Chiamano un tizio direttamente dalla cucina, l'eletto. Lui mi spieghera' come arrivare a Sanur. Prende una pagina bianca dal menu e ci disegna sopra una mappa. Fa per darmela ma d'improvviso il suo autore gli disegna del terrore sul viso. Gira la pagina e ci trova i piatti del suo menu, l'unico di tutto il ristorante. Sorry, mister. Fa niente, buddy, si vede che Sanur non era destino.

Un po' rimpiango i primi giorni di Bali quando andavo in giro in bici. La pace, le risaie, il mio sudore sulla camicia a perta a mostrare del gran pelo occidentale. Poi ripenso a quelle quattro ore di salita per tornare a Ubud che ogni venditore di succhi di frutta sul ciglio della strada mi pareva il rifornimento al Tour. I bambini su bici piu' grandi di loro mi superavano senza pieta' e se la ghignavano. Quello con la maglia di Bobo Vieri per poco non mi dava il colpo di grazia. Ma arrivai.

No, meglio il motorino. Meglio fermarsi al baracchino che vende Bakso, zuppa di carne, per sapere se la si puo' avere senza la carne. Meglio rendersi conto che il tizio che te la sta vendendo non capisce nulla di quello che gli dici e vederlo chiamare un altro tizio per spiegarsi e scoprire che quell'altro tizio e' un poliziotto perche' sia tu che il baracchino ambulante della bakso vi siete fermati nella stazione di polizia. Che poi il poliziotto, dapprima esitante, e' anche un brav'uomo. Si scioglie dopo qualche minuto e lo scopri battutista da varieta' di prima serata sy canale5. Fa il burlone, e tu ancora non hai capito nulla di sta benedetta bakso. Alche' esasperato alzi il coperchio sulla pentola del baracchino e ci vedi del tofu. Tahu?
I due si guardano. Tahu, tahu, yes, mister, yes. Canticchiano sto motivetto, si baloccano, mentre tu ti godi la tua zuppa di noodle e tofu seduto sul marcipaiede.


In postilla:
- noleggio motorino = 50mila rupie.
- benza = 10mila rupie.
- bakso tahu o comunque si chiami cio' che ho mangiato = 3mila rupie.
- il sorriso del tipo che te l'ha venduta quando gli hai detto che era enak (deliziosa) = citofonate Mastercard.

16 febbraio 2010

Bromo

Sono in una stanza nel centro di Jakarta e vorrei chiamarla una topaia. Sono seduto sul pavimento e guardo le lenzuola. Scrivo che non riesco a dormire perche' gli insetti non me lo permettono. Li tengo lontani col ventilatore, ma il caldo e' opprimente e allora tengo il ventilatore per me e che gli insetti vengano pure. Intanto scrivo, magari il rumore della penna sulla carta li spaventa.

Sono su un treno, sette ore di treno che diventano otto. Fuori dal finestrin risaie e foresta pluviale. Le montagne sono coperte dalla nebbia. Piove sempre nel febbraio indonesiano. Continuo a scrivere perche' Jogyakarta si merita un sacco d'inchiostro. Ogni mattina alle 4 il muezzin comincia a cantare. Non mi da fastidio il volume e nemmeno l'ora, ma Allah avrebbe potuto dare un paio di toni in piu' a quella voce tanto sgraziata. Vorrei incontrarlo per strada quel tipo che canta. In fondo conosco la sua voce quasi meglio della mia in questi ultimi giorni. Gli direi: amico sei un gran musulmano ma, diamine, fai cantare qualcun altro.

Sono in una stanza con due letti rosa e penso a Dumbo. Giammai un elefante volar. In Indonesia pero' un tour in cui si vedono elefanti volare potrebbero provare a vendertelo. 60mila rupie. Troppo? Ok, facciamo 20mila. Mille. Venduto.
Sono nella mia stanza, scrivo. Il cesso non ha lo sciacquone. Riempio il secchio e butto l'acqua nel vaso. C'e' da sperare che non mi vengano mai gli stronzi duri, altrimenti hai un bel provare a mandarli via a secchiate.

Scrivo tanto, e quasi solo boiate. I fatti li lascio a chi non ha idee, di solito. Sento una chitarra, scendo nel vicolo. Ragazzi indonesiani accovacciati in un angolo suonano e bevono vino di riso. Me ne offrono. Where are you from? Italy. Football. Ac Milan o Inter Milan? Mi fingo esperto. Funziona solo perche' l'ultima partita che hanno visto dev'essere tpo di Francia '98.

Per giorni sento il motivetto usato in Giappone come campanella scolastica. Che sara' mai? Un portatile nella stanza accanto forse. Non me lo spiego. Poi vado in stazione qua vicino. Eccola di nuovo, e comprendo. Il capostazione la usa prima di dare ogni avviso. E a me sembra di tornare dentro Touch.

Vorrei dormire, ma scrivo. Non riesco a smettere. Mi sono alzato alle 4 per cogliere l'alba a Borobudur. C'era tanta di quella nebbia che il sole non si sapeva nemmeno da che parte stesse. Io continuavo a salire verso la cima del tempio e i vari livelli apparivano da dietro la nebbia. Prima erano nulla, poi li toccavi. Venti metri piu in basso la foresta ed io li' a cercare una frase per descriverlo sul mio quaderno, incapace di fare altro. E cosciente che non ci sono frasi o parole o niente che possa descriverlo.

Ho fame, metto via la penna e scendo in strada. Liquido i tizi che mi vogliono vendere la corsa. Cammino. Ma sei bianco, ricco, coi piedi di cristallo. Fa niente, cammino. Baracchini vendono cose di cui al 90% non conosco il nome. Che fare? Banane. Tutti le chiamano cosi', ovunque. Guardo la vecchina senza denti. Banana! Nulla. Prendo il casco in mano. Ah, pisang, pisang. Le voglio, voglio ste pisang, quanto? Diecimila rupie tutto il casco. Non me ne faccio niente di 15 banane. Mimo il gesto di spezzarlo in due. Lei si dispera e sembra dire: se strappi a meta' una banconota dopo i due pezzi non valgono la meta' dei quattrini. La guardo, mi guarda, la gente attorno a noi ci guarda. La vecchia tira fuori la mano e fa segno cinque. Stasera per cena banane, e un frasario di Bahasa Indonesia.

10 febbraio 2010

E poi c'era Amedeo

Sindapore mon amour:

- il Changi Airport dove ti danno le caramelline mentre controllano il passaporto e ci sono postazioni internet 5 metri prima del gate. Gratis;
- i cinesi, tanto pragmatici sul lavoro quanto pacchini e senza misura nei festeggiamenti;
- gli indiani, tanto scazzati sul lavoro quanto scazzati fuori (momenti non sempre facilmente distinguibili);
- il dragon fruit e le banane rosse;
- i miei piedi nudi sul pavimento dei templi hindu;
- i biglietti plastificati della metro, che per averli devi lasciare il deposito come coi carrelli dell'esselunga;
- gli stand di chinatown dove ti offrono croccanti, mochi, gelatine e frutta secca per il capodanno;
- un mezzo delfino e mezzo leone che sputa acqua davanti allo skyline;
- Auntie Aini che mi regala le sue tortine di arachidi perche' lei ha il colesterolo troppo alto.


Kuala mon amour:

- lo shuttle bus per l'aerioporto che arranca sui cavalcavia neanche fosse l'ivan quaranta di inizio stagione;
- andare alle petronas towers e scoprire che non puoi salire fino in cima e che a kuala c'e' un'altra torre di tipo 450 metri che invece puoi scalare interamente;
- salirci comunque perche' tanto e' gratis;
- il tizio che incrociandiomi per strada improvvisamente comincia a respirare male, estrae un ventolin vuotodalla tasca e mi chiede i soldi per comprarne uno nuovo;
- il bollitore dell'acqua con la modalita' boiling per il te' e quella warm (40celsius) per bere;
- lo star fruit che sa di mela verde e pompelmo;
- il tofu in pastella e il peperone ripieno di soia del blue boy vegetarian restaurant. E scoprire poi che e' un peperoncino. Che brucia come fare i gargarismi con la grappa.

6 febbraio 2010

Aspetta foglie rosse, Bandini

Otto giorni di Sydney che sono cominciati come un piatto di pasta riscaldato al microonde. Tiepidi, vagamente anonimi. La sensazione che c'era di meglio a disposizione se solo la pigrizia non mi avesse assalito. Ho fatto fatica a riabituarmi alla gente di corsa per strada, a quel cielo fuggiasco che ti piove addosso quando sei in giro col tuo trolley da 25kg.
Fai fatica a dimenticarti di come ti sveglia l'oceano quando ti ci butti dentro alle otto di mattina e non hai nemmeno il tempo di dirgli buongiorno.

Otto giorni di Sydney che pero' pian piano hanno acquisito un senso, perche' ho rivisto il sorriso di un amico, e poi sono diventati due, tre. E poi ho smesso di contarli. Se ti circondi di sorrisi puoi entirti a casa un po' ovunque, nonostante tutto. Una casa credo di non averla trovata mai. Le cose mi appartengono, magari per brevi periodi, sono io che non appartengo a loro, oppure semplicemente faccio di tutto per dimostrare a me stesso che e' cosi'.

Ho lasciato Sydney come due mesi fa, sapendo che ci tornero'. Sa sempre meno di addio. Sull'aereo per Singapore mi sono guardato intorno e ho visto facce di tutte le sfumature, alcune sorridenti, altre grige, tutte con quel piccolo particolare che farebbe sorridere l'osservatore piu' attento.
Mi sono messo a leggere Chiedi alla polvere di John Fante. C'e' questo tipo che vorrebbe scrivere racconti ma proprio non ci riesce, e la cosa mi ha ricordato quando da ragazzino volevo fare lo scrittore. Mi e' improvvisamente venuta una voglia disperata di scrivere un libro. Ho un quaderno e una penna ma me li ero dimenticati nella pancia dell'aereo e le mie idee erano tanto bislacche che avevo paura di perderle. Cosi' ho continuato a ripetermele in testa per tutto il volo, a costruire immagini che resistessero al nuovo fuso orario.
Sto riaprendo un capitolo che avevo sigillato, sto riaprendo me stesso a tutti voi, nell'unico modo in cui sono sempre stato capace di farlo.

Vi guardo da dietro un vetro, come facevo anni fa, afono. E aspetto le foglie rosse. Voi ballate sotto la neve, e io aspetto le foglie rosse dell'autunno.