23 gennaio 2010

Back home?

Ho perso un po' il filo del discorso da quanto ho lasciato Coffs Harbour. E me ne scuso.
Ho visto Yamba, un paesino affacciato sull'oceano, dove ci sono più onde che abitanti e dove il surf è quasi una religione. Ho usato una tavola da 8'6, lunghissima rispetto a quello cui ero abituato, e ho avuto qualche problema di adattamento. Ma è stata comunque un'esperienza immensa (quasi quanto le onde, mai viste così).
Poi ho avuto una conferma: appena esci dalla metropoli gli australiani diventano un popolo disponibile al limite dell'assurdo. Ho fatto l'autostop un paio di volte e sono stato caricato addirittura da una vecchine di almeno 70 anni, felicissima perché ha potuto raccontarmi delle sue vacanze romane nel lontano '56.
E ogni volta che incroci qualcuno per strada esce automatico il g'day (good day, tipico saluto australiano) o l'hey u goin? (hey, how are you going?). Non so quanto sia rituale e quanto invece ci sia dell'interesse dietro tutto questo, ma non è raro rimanere intrappolati in conversazioni improbabili mentre si va in spiaggia a surfare.

Dopo qualche giorno mi sono spostato a Byron Bay, un tempo piccolo centro della controcultura anni '70, luogo di hippies e surfisti, amanti della natura e contadini biologici. Oggi tutto questo è stato rivenduto al mercato del turismo. Ovunque spuntano negozietti che vendono didjeridoo, incensi, souvenir improponibili, occhiali da sole pacchiani, cappellini, oltre a una pletora di fast-food salutisti, rivenditori di succhi di frutta, panetterie e addirittura posti che vendono ganja.
Non è l'Austrlia di Sydney, caotica e centrata sul business, ma non assomiglia nemmeno all'Australia che ho visto durante il mio viaggio nell'ultimo mese e mezzo. Qui la gente non ti saluta se la guardi negli occhi. E ci sono in giro più backpackers che abitanti del luogo, cosa che mi lascia sempre un po' perplesso, specie se quei backpackers sono gli stessi che alle 4 di notte rientrano dalla serata di bagordi e si mettono a starnazzare in una camera buia, dove almeno altre 6 persone stanno cercando di dormire. Ieri una tipa ha avuto un'idea sconcertante: fare una foto ad ognuno degli altri letti presenti nella stanza, dormiente incluso. Io che non dormivo le ho palesato il mio dito medio sperando di convincerla a desistere. La cosa ha invece suscitato una sua risata equina, subito emulata dall'amica. Mi sono consolato pensando ai terribili postumi che l'avrebbero colpita il mattino seguente.

Tra poco torno a Sydney, che qualche volta ho chiamato anche casa. Ma fatico ad associare all'idea di casa un posto che non sia la mia stanza di quand'ero bambino. Oggi avrei bisogno di un po' di sole, in questo cielo disperatamente terso. Ci vorrebbero maglioni e una canzone dei Radiohead, e sui tuoi capelli la luce di quel sole invernale che ho quasi dimenticato.

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